lunedì 22 agosto 2022

CARO PIER PAOLO - Dacia Maraini

 CARO PIER PAOLO - Dacia Maraini



Quest’anno ricorre il centenario della nascita di Pier Paolo Paolini ( 5 marzo 1922 Bologna – 2 novembre 1975 Lido di Ostia) , che come noto fu un poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, attore e drammaturgo italiano ed è considerato tra i maggiori intellettuali italiani del novecento.
Personaggio poliedrico si distinse in numerosi campi, lasciando contributi anche come pittore, romanziere, linguista, traduttore e saggista.
Ebbene in questa ricorrenza numerose sono le pubblicazioni che si trovano in libreria ed io, affascinata da sempre dal personaggio e soprattutto interessata ad approfondirne la conoscenza, ne ho comprate e lette alcune fra le quali questa: CARO PIER PAOLO di Dacia Maraini.
DACIA MARAINI ( Fiesole 13 nov.1936) e Pier Paolo furono legati da profonda amicizia e collaborarono in più occasioni . Inoltre Dacia Maraini per parecchi anni ( dal 1962 agli anni ‘80) fu compagna di Alberto Moravia il quale a sua volta fu grande amico di Pier Paolo. Ne è conseguito che le frequentazioni dei tre furono assidue tanto che acquistarono insieme persino una casa a SABAUDIA, dove trascorsero molte serate facendo pure programmi che la morte violenta di Pier Paolo, in circostanze ancora oscure, non permise di concretizzare.
Tale premessa si è resa necessaria per meglio comprendere questo libro che vuole essere una raccolta di lettere che Dacia scrive a Pier Paolo evocando avvenimenti precisi , esperienze vissute insieme, soprattutto raccontando i numerosi viaggi in Africa che intraprendevano ogni anno nel periodo natalizio al fine di sfuggire ai riti che detestavano. Partivano sempre in tre: Dacia, Pier Paolo e Alberto tranne in un'occasione in cui partecipò Maria Callas la quale subì il fascino di Pasolini, anzi pare proprio avesse avuto un grande innamoramento sino ad arrivare a pensare che potesse influire e modificare i gusti sessuali di lui…
“ Trovava che tu, Pier Paolo, fossi una meraviglia di uomo: attento, gentile, premuroso, generoso. Ti avrebbe volentieri sposato, anche se sapeva delle tue preferenze sessuali. Ma si può amare una donna senza desiderarla? Questa era la sua domanda a cui io non avevo risposta.”
Da queste lettere, così intense, così profonde ne esce un grande uomo tenero nelle relazioni, gentile nella quotidianità, dalla potente creatività e nel contempo duro e provocatore dalla dialettica arguta e intelligente.
Indubbiamente anticonformista ma anche preda di profonde contraddizioni.
Dalle lettere di Dacia emerge appieno che la sua breve vita è stata contrassegnata dal tormento interiore. Non a caso soffriva di atroci dolori allo stomaco: un’ulcera invincibile non gli dava tregua nonostante ingoiasse medicinali che a distanza di anni si sono rivelate pure nocive e ovviamente non poteva bere alcool e caffè.
Dacia inizia con lo scrivere che spesso lo sogna e da ogni sogno prende spunto per una narrazione :
“ Caro Pier Paolo stanotte ti ho sognato. Avevi il solito sorriso dolce e mi dicevi: “ Sono qua!”. Poi ti toglievi una specie di gilet color malva e aggiungevi . “ Fa caldo”……
E’ così strano che dopo tanti anni, nel sonno, io trovi ancora il modo di ricordarti e di vederti. Sei sempre il giovane cinquantenne che ho frequentato negli anni Sessanta e Settanta: il corpo agile, sportivo, la faccia seria, non imbronciata, ma pensosa, lo sguardo sognante, il passo deciso e sempre pronto a correre……”
Lo stile letterario di Dacia Maraini indiscutibilmente eccellente e io in queste 203 pagine, che ho letto in meno di due giorni, mi sono perduta …sono stata in Africa con lei, Pier Paolo e Alberto, ho attraversato lo Yemen, il Sudan, ho visto scenari inimmaginabili, ho vissuto avventure che purtroppo mai vivrò anche perché l’Africa di quegli anni non è più la stessa di oggi e, ho pure vissuto il muto rifiuto subito da Maria Callas quando in una circostanza sfortunata in un villaggio africano si sono trovati costretti a dormire in due stanzette di una missione. Lei sperava che quella fosse l’occasione tanto attesa ma Pasolini con delicatezza ed eleganza, ( calma autorevole – scrive Dacia) disponeva che le donne dormissero assieme e lui e Alberto pure.
Dacia Maraini racconta che Pasolini era indubbiamente affascinato da Maria Callas, lo si percepiva dagli atteggiamenti, dagli sguardi ma purtroppo il profondo legame che lui aveva con la madre non gli consentiva di fare l’amore con altre donne. Emblematica la poesia “ Supplica a mia madre” di cui riporto solo una parte:
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.
Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…
Lo scambio di opinioni fra Dacia, Alberto e Pier Paolo era quotidiano e nelle lettere di Dacia si evidenziano le idee , le convinzioni di Pasolini con le dovute argomentazioni, al fine di far comprendere al lettore lo spessore intellettuale del personaggio e non solo i pregi e i difetti caratteriali.
Ovviamente si affronta pure l’argomento omosessualità poiché lui lo era, con forte attrazione per i “corpi giovani” dai quali voleva essere desiderato e che mai avrebbe preso con violenza.
Si sofferma poi sulla sua morte e qui Dacia pone molte domande rimaste a tutt’oggi senza risposta. Lei riuscì ad ottenere un colloquio in carcere con Pino Pelosi, colui che ha dichiarato la colpevolezza dell’omicidio ma non ottenne risposte soddisfacenti bensì la conferma dei dubbi sul fatto che la verità fosse ben diversa.
Potrei continuare ad elogiare quest’opera perché mi ha molto coinvolta ma sia chiaro, la mia fascinazione per Pasolini è notevole e più approfondisco e più me ne innamoro.
La forza del suo pensiero mi ha sedotta.
Agosto 2022- Y.Pelizzari

domenica 21 agosto 2022

ELEANOR OLIPHANT STA BENISSIMO - Gail Honeyman

 

ELEANOR OLIPHANT STA BENISSIMO

Gail Honeyman

 


Sono stata alquanto impegnata nelle settimane scorse, ma poi sono sopraggiunti giorni leggeri in cui ho potuto riprendere fra le mani i libri : in spiaggia circondata dalla bellezza paesaggistica che il lago offre in questa stagione,   estraniata da tutto,  ne ho terminati due dei quali mi accingo a scrivere le mie impressioni.

Il primo è un libro che mi è stato caldamente suggerito da  un’amica dal titolo ELEANOR OLIPHANT STA BENISSIMO, opera prima di GAIL HONEYMAN,  nata nel 1972 in Scozia e che io non conoscevo nonostante le mie numerose frequentazioni in librerie. Premetto che trattasi di un romanzo pubblicato nel 2017 che ha riscosso molto  successo e successivamente  pubblicato in 40 paesi  e di cui il regista Harry Bradbeer ha curato la trasposizione cinematografica.

Il romanzo è classificato narrativa rosa mentre il film che non credo andrò a vedere, rientra nel genere drammatico. 

La protagonista del romanzo è una ragazza: sin dalle prime pagine s’intuisce che è una persona alquanto singolare dal passato, forse dall’infanzia complicata . Ha un lavoro ma  con i colleghi  ha solo rapporti convenzionali e  fuori,  non ha amici e amiche . Conduce una vita insolita anzi anomala per una ragazza giovane e trascorre i week end in compagnia di bottiglie di  wodka  finchè un giorno casualmente vede un musicista e se ne innamora, auto- convincendosi che costui è l’uomo della sua vita. Da quel momento inizia per lei un processo personale di trasformazione: decide di andare dal parrucchiere, curare l’estetica senza trascurare l’ abbigliamento.  Nel contempo incontra Raymond, il nuovo tecnico giunto in azienda a cui lei si rivolge per risolvere i problemi informatici e con il quale instaura un rapporto di amicizia, soprattutto a seguito di un incedente di cui entrambi sono testimoni e soccorritori.

La storia di per sé, secondo me è banale,  ma l’arricchimento apportato al romanzo è dovuto alle riflessioni che la ragazza elabora dinanzi ad ogni circostanza.

La lettura comunque scorre lenta, a tratti l’ho trovata noiosa anche se non nego che da subito ho stabilito che sarei arrivata fino alla fine, soprattutto incuriosita dal voler conoscere le motivazioni che hanno creato un  personaggio come Eleanor Oliphant, che fra l'altro non era neppure il nome  avuto alla nascita.

Ovviamente alla fine si scopre, come spesso accade, che tutto inizia dall’infanzia e il rapporto con i genitori è determinante nella vita adulta.

Lo consiglio?

Non saprei, indubbiamente non è il mio genere e ancora una volta, mi sono detta che i libri molto acclamati spesso deludono perché creano forse troppe aspettative .

Il testo è stato tradotto dall’inglese: in ogni caso, dal mio punto di vista,  mi è sembrato uno stile narrativo alquanto semplice. Ma forse trattandosi di narrativa rosa, così era  richiesto.

 Se leggerlo o meno decidete voi.

Agosto 2022- Yvonne Pelizzari

lunedì 15 agosto 2022

UN GIORNO QUESTO DOLORE TI SARA’ UTILE - PETER CAMERON

 

UN GIORNO QUESTO DOLORE TI SARA’ UTILE

PETER CAMERON 


Quando desideri con tutto il cuore che qualcuno ti ami, dentro di te si radica una follia che toglie ogni senso agli alberi, all’acqua e alla terra. E per te non esiste più nulla, eccetto quell’insistente, profondo, amaro bisogno. Ed è un sentimento comune a tutti, dalla nascita alla morte. Denton Welch – Diario 8 maggio 1944

Mi è sembrato un titolo insolito per un romanzo. Forse troppo lungo ma nel contempo molto preciso: “Un giorno questo dolore ti sarà utile”.  Ho immaginato che non si trattasse di un romanzo allegro, ma del resto il dolore tocca la vita di tutti perché anche il dolore è vita, quindi non ho esitato ad acquistarlo.

PETER CAMERON  è uno scrittore statunitense assai noto del quale non avevo mai letto nulla sino ad ora, ma dopo questa lettura, pubblicata la prima volta nel  2007 - GLI ADELPHI- credo che ricercherò altri romanzi poiché  l’ho molto apprezzato.

Non vado alla ricerca di altre descrizioni per fornire una sintesi e mi limito a riprendere  quanto appare in quarta a cura  di Valeria Parrella:

Cameron disegna un mirabile affresco di un mondo, il nostro, incapace di prendersi cura di se stesso, alla rincorsa di cose futili e banali. Lo fa attraverso una prosa densa come forse verseggiata, con dialoghi perfetti e un personaggio che resterà nella memoria. Un libro bellissimi, già dal titolo e fino all’ultima pagina”.

In ogni caso il titolo è esplicitato a pagina 51 ossia  si trattava del il motto  del campo  didattico, che a dire del protagonista pareva alquanto sinistro: “ Sii forte e paziente; un giorno questo dolore ti sarà utile”.

Scritto in prima persona è di facile lettura nonostante la profondità della narrazione: il protagonista, un ragazzo di 18 anni di nome  James Sveck  si racconta.

Trattasi di un ragazzo forse particolare che sta bene soprattutto in compagnia di sé stesso e di buoni libri, infatti non ha amici e durante il periodo estivo lavora senza soddisfazione nella galleria d’arte della madre. Una galleria dove entrano abitualmente pochi visitatori.

 -       Le persone , almeno per quel che ho visto fino adesso, non si dicono granchè di interessante. Parlano delle loro vite, e le loro vite non sono interessanti. Quindi mi secco. Secondo me bisognerebbe parlare solo se ha da dire qualcosa di interessante o di necessario. Non mi ero mai reso conto di quanto questo stato d’animo mi avesse complicato la vita fino all’esperienza che mi è capitata la primavera scorsa.

 I genitori di James sono separati :la madre ha concluso il terzo matrimonio  prima ancora che terminasse il viaggio di nozze poiché il neo marito le ha rubato le carte di credito per andare a giocare e il padre, Peter Pan è un uomo incallito col vizio della chirurgia estetica intenzionato a rifarsi le borse sotto gli occhi.

Questi  singolari genitori cercano maldestramente di aiutare il figlio James che un insegnante,  superficialmente,  ha descritto come disadattato , ma in realtà  disadattato non è.

James ha pure un fratello minore e una sorella che si è invaghita di un professore di teoria del linguaggio  ma con loro non ha un rapporto armonioso. Lui rifugge le persone e le situazioni sociali e comunica soltanto con Nanette, nonna affettuosa e di buon senso, e Miró, un cagnetto nero che si crede umano.

I genitori di James gli  pianificano il futuro e pretendono che frequenti il college ma lui non intende andarci poiché il suo desiderio è quello di acquistare una casa nel Midwest in cui leggere e starsene tranquillo indisturbato e un giorno per puro divertimento  apre un profilo sotto falso nome e si iscrive a un sito di incontri frequentato da John, gay alla ricerca di un compagno che gestisce la galleria d’arte con la madre….

La situazione diviene complessa e nel contempo che i fatti si susseguono, James va dalla psichiatra per delle sedute settimanali.   Ma forse James è gay? Glielo chiede la madre e pure la sorella….

 Io ho trovato questo romanzo molto avvincente, a tratti pure divertente, mai banale

e infatti in un paio di giorni sono arrivata alla fine e mi sento di consigliarlo vivamente.

 Stralci

 -       Le donne sanno governare meglio degli uomini perché sono più altruiste, mentre gli uomini – o almeno quelli assetati di potere- sanno pensare soltanto a se stessi: alla loro ricchezza, al loro potere, alla lunghezza del loro pisello.

-       La gente pensa che se riesce a dimostrare di avere ragione l’altro cambierà idea, ma non è così.

-       E’ questo il brutto di avere un vizio: nel momento stesso in cui fai quella cosa e ti piace, sai anche che è sbagliato, che sei un debole e che ti stai rovinando la vita.

-       Gli insulti, caro James, sono la risorsa dei poveri di spirito.

-       Certe volte invidio chi è religioso perché ha la consolazione della fede. Renderebbe tutto molto più facile.

 

Agosto 2022- Y.Pelizzari

sabato 13 agosto 2022

IL CERCATORE DI LUCE – CARMINE ABATE

 

IL CERCATORE DI LUCE – CARMINE ABATE


 

Qualche anno fa al PALAZZO REALE di Milano andai a vedere una Mostra dedicata all’artista pittore GIOVANNI SEGANTINI che comprendeva ben 120 opere e ne rimasi affascinata.

Paesaggi stupendi , immagini luminose, montagne, pascoli, in breve: opere scaturite dalla contemplazione della NATURA. Ma non solo, anche quadri inneggianti la VITA, la maternità: dinanzi a quelle opere pittoriche mi è stato facile innamorarmi dell’autore senza nulla o quasi , sapere di lui.

Tale premessa per dire che qualche mese fa, venuta a conoscenza della pubblicazione del romanzo IL CERCATORE DI LUCE di CARMINE ABATE e scoprendo che il  cercatore di luce a cui si faceva riferimento era proprio  il pittore GIOVANNI SEGANTINI , uno fra i massimi esponenti del divisionismo italiano, nato ad Arco di Trento nel 1858  e deceduto a Pontresina nel 1899, non ho esitato ad acquistarlo e pochi giorni fa l’ho terminato.

Indubbiamente è un bel romanzo che incalza e coinvolge il lettore e forse stimola chi apprezza Segantini ad approfondirne la conoscenza.

Trattasi appunto di un romanzo e non di una biografia: “Gli eventi di cronaca e i personaggi realmente esistenti o esistiti sono trasfigurati dallo sguardo del narratore.” 

 Trama

Carlo , un ragazzino di  dodici anni  giunge in Scanuppia, nel Trentino, per trascorrere le vacanze estive nella vecchia baita di famiglia. I genitori non vanno d’accordo fra loro e spesso le conversazioni si fanno incandescenti. Carlo trova il modo per sfuggire a quelle tensioni rifugiandosi nella sua stanza e trova uno strano sollievo nel guardare il dipinto appeso sulla parete che ritrae una giovane donna con un bambino tra le braccia. Chi sono quelle due persone?

Al ragazzo pare di riconoscerle e chiede notizie alla nonna Moma, trasferitasi nel Trentino a seguito del matrimonio,  dalla nativa Calabria. Carlo scopre così che il  nonno aveva conosciuto il pittore, Giovanni Segantini e si ritrova  a ricostruire la trama intima e collettiva di un intero secolo, a partire dalla travolgente vicenda umana di Segantini, legata a quella della propria famiglia.

Nel contempo che vive le sue prime infatuazioni sentimentali, si appassiona alla storia d’amore tra Giovanni Segantini e Bice Bugatti, donna affascinante , carismatica e compagna fedele, rimasta a fianco dell’artista dall’incontro a Milano sino alla fine dei suoi giorni in Svizzera.

Non vado oltre per non togliere la sorpresa a chi deciderà di intraprendere questa splendida lettura che trovo ideale anche sotto l’ombrellone.

 Il cercatore di luce di Carmine Abate (Mondadori), è l’opera vincitrice della sezione “Vita e storie di montagna” al Premio Itas del Libro di Montagna 2022 

STRALCI

-       Ancora non capiva, disse la Moma, era troppo giovane e nostalgico, pensava e ripensava a Maloja, a Besenello, alla baita in Scanuppia, non poteva capire la prepotenza dei luoghi, che ti attraggono o ti scacciano via a loro piacimento.

-       I luoghi, come degli amanti smaniosi di conquistarti, rivelano le loro bellezze più irresistibili al primo incontro. Poi, con il tempo, ti possono pure pugnalare alle spalle, ma tu li amerai comunque e per sempre.

-       Forse è questa la base più solida dell’amore eterno: due persone opposte in tutto che si sostengono a vicenda e si compenetrano fino a vivere insieme in un’unica aura, per sempre.

-       ….la felicità va goduta in silenzio, lui ne è consapevole, mai sbandierarla la felicità.

-       Tanto gli altri, in un’opera d’arte, ci vedono ciò che vogliono, ciò che li tocca nel profondo, che li emoziona, al di là delle intenzioni dell’autore.

-       Non siamo noi ad abbandonare i luoghi, sono loro che abbandonano noi….

 

Luglio 2022 – Y. Pelizzari

domenica 7 agosto 2022

RONCATE, il borgo solitario ( Frazioni di SANSIRO)

 

Roncate o Runcaa come vuole la forma dialettale locale, è un grappolo di case,  alcune talmente vicine fra loro dall’avere un muro perimetrale comune a separare le proprietà.

Situato su un tratto di territorio lievemente scosceso, per lungo tempo è rimasto solitario poiché soltanto qualche decennio fa, fra problematiche non del tutto banali, venne costruito un tratto di  strada carrozzabile collegato alla principale che ora permette l’utilizzo dell’automobile sino all’ingresso del borgo. 

Le problematiche erano correlate al fatto che la realizzazione del tratto stradale imponeva l’occupazione di scampoli di prati e campi privati e i proprietari, contrari a cederne anche un solo centimetro, diedero vita a verbose dispute pubbliche che si protrassero  a lungo.

I terreni erano considerati alla pari dell’oro, contrariamente ad oggi in cui sono per lo più incolti, abbandonati a sé stessi.

Infine, l’elenco dei vantaggi ebbe il sopravvento, i contrari più tenaci alzarono bandiera bianca e la strada fu realizzata.

Attualmente termina in uno spiazzo oltre il quale occorre incamminarsi con scarpe adeguate, evitando possibilmente i tacchi troppo sottili.

Una mulattiera dal passato senza nome e ora divenuta Via Roncate, dalla pavimentazione in tozzetti di recente posa a sostituzione degli antichi ciottoli, fiancheggiata da case su ambo i lati,  conduce al centro, quello che la memoria restituisce come cuore pulsante del borgo.

Qui trovasi: una bella fontana erogatrice acqua potabile alla quale gli abitanti andavano a prendere l’acqua con secchi di metallo tipo zinco rinforzato o acciaio o alluminio, poiché la plastica era ancora agli esordi e il lavatoio, di dimensioni ridotte  rispetto a quelli presenti in altri borghi del comune di San Siro,  con appresso l’immancabile ruscello dalle acque mormoranti.



Qui al lavatoio, dove sino agli anni sessanta e poco oltre del novecento, le donne si ritrovavano con mastelli colmi di panni da lavare e sapone fatto in casa, lo spazio è angusto: un crocevia di strette viuzze fra le quali  una scende in direzione del lago che dista una ventina di minuti e l’altra, una breve scalinata in parte sovrastata da un portico, sbuca nella zona alta del borgo dove oggigiorno risiedono soltanto un paio di famiglie. 

La sporgenza di un balcone proprio sopra il lavatoio, contribuisce a negare a questo angolo angusto,  l’ingresso ai raggi del sole  e forse  anche  la luna, che  nelle notti di plenilunio con il suo chiarore regala al lago una inenarrabile magia, non riesce a penetrarvi.  

La descrizione sino qui fatta potrebbe indurre a far pensare che Roncate sia un borgo di scarso interesse mentre nella realtà  gode di un fascino singolare e osservato in lontananza è paragonabile a un grazioso presepe. Un contesto pittoresco, un sollazzo per il pennello di un pittore.



Percorrendo i saliscendi serpeggianti fra le case, si respira quell’ atmosfera  tipica che aleggia soltanto in quei  borghi antichi dove la vita scorreva  lentamente rispettando i ritmi scanditi dalle stagioni e dalle fasi lunari. Sebbene ora è avvolto da silenzio solenne, poiché non si sentono neppure i cani ad abbaiare, la sua storia racconta anni di splendore testimoniato da quel che resta di  una casa dalle pareti riccamente affrescate, presumibilmente appartenente alla Casa Primavera o Casa d’Oro, un’antica residenza , pare compresa nel distaccamento di un presidio austro-ungarico, che divenuta pericolante è stata demolita anni or sono.  

Roncate fu un borgo brioso e pure rumoroso. Alcuni decenni addietro era in attività l’osteria di Gemma con adiacente un ampio campo di bocce dove abitualmente gli uomini spendevano i pomeriggi domenicali giocando e sorseggiando fiaschi di vino proveniente dai vigneti locali.

Infatti, gli abitanti erano quasi tutti possidenti di appezzamenti di terreno più o meno ampi che  ben curavano e coltivavano poiché i frutti della terra rappresentavano la fonte principale per il sostentamento delle famiglie .

Ogni famiglia produceva il proprio vino e  anche a Roncate c’era un torchio vinario: “il torchio del Tognin” al servizio di tutti,  dove si portavano le vinacce per una seconda spremitura nei giorni successivi la vendemmia e la pigiatura, occasione in cui un allegro vociare si spandeva per le vie del borgo, proprio come magistralmente descrisse  Giosuè Carducci in  San Martino .

Il vino che lentamente colava  lungo le doghe della gabbia del torchio per poi incanalarsi nella scannellatura del basamento sino a immettersi in recipienti , destinati ad essere svuotati dentro le botti di legno, esprimeva la  gratificazione finale del lavoro lungo e meticoloso che la vigna richiedeva.


A rivelare l’importanza del borgo è rimasta anche la chiesetta dalle facciate tinteggiate di bianco,  dedicata ai  Santi Rocco e Sebastiano con l’antistante omonima piazzetta  rappresentata da un bel prato verde. Nei giorni in cui si celebrava la festa del Santo protettore: San Sebastiano, “il santo con la viola in mano”,  come vuole un antico proverbio del luogo a significare l’imminente  arrivo della primavera, accorrevano gli abitanti dell’intero territorio di San Siro e la festa  con canti , balli,  incanto dei canestri e giochi vari come l’albero della cuccagna e il tiro della fune, si protraeva ininterrottamente per diversi giorni.

San Sebastiano, stante alla leggenda, militare romano e martire per aver sostenuto la fede cristiana, si commemora il venti gennaio, periodo in cui le violette selvatiche iniziano a sbocciare, segno appunto che preannuncia la primavera.

 In ogni paesaggio c’è l’anima di chi guarda  ed io trovo RONCATE, oggi come ieri, un borgo ameno più d’altri. Porte e finestre di molte case ormai restano chiuse per la maggior parte dell’anno: gli anziani, anche i più longevi  sono partiti per quella meta che richiede il biglietto di sola andata e molti degli eredi si sono trasferiti altrove. La mancanza della carrozzabile  all’interno del borgo ha favorito l’esodo ma coloro che hanno fatto tale scelta privilegiando la comodità,  hanno sacrificato  una spettacolarità panoramica  sublime:  un sacrificio notevole poiché ritengo sia importante, sin dalla tenera età, educare la vista alla bellezza  per evitare che successivamente  si abitui  al brutto.

Roncate  gode  del privilegio di un’ampia visuale del lago: oltre a scorgere nitidamente  Dervio, Corenno Plinio, Bellano, centri abitati adagiati ai piedi delle montagne antistanti, son ben  visibili  Varenna e Bellagio, località la cui straordinaria bellezza richiama turisti  da tutto il  mondo.

Ma la vista può spaziare anche oltre,  sino a raggiungere scorci sorprendenti e  un buon tratto del manzoniano ramo di Lecco.


Roncate, poco distante dalla mia casa di pietra, la casa dell’infanzia alla quale ritorno sempre con rinnovata emozione,  è per me custode di  nostalgici ricordi.

In fondo al borgo, al termine di Via Val de I Fop,  superata  la casa  appartenuta a Ottaviano e Antonia, ora proprietà di “gente venuta da fuori” che qualcuno identifica anche con l’uso dell’appellativo “forestieri” ,   c’è un ruscello che alterna periodi di piena a periodi  quasi di secca,  oltre il quale inizia il bosco dove la mano d’uomo oramai non s’affatica più.

Si tratta di una dolce altura dalla sommità leggermente pianeggiante sulla quale gli alberelli  di amareni avevano trovato l’habitat ideale e nel periodo della fioritura offrivano uno spettacolo incantevole con le api che ronzavano  e si deliziavano succhiando il nettare. Le amarene che si differenziano dalle ciliegie per la loro asprezza, sono frutti apprezzati sin dal tempo dei romani e da queste parti quando raggiungevano la maturazione, si procedeva alla raccolta per la conservazione: si tagliava parte del picciolo e si immergevano nell’alcool  dentro bottiglie o vasi di vetro.

Ogni famiglia aveva la propria scorta e nelle occasioni in cui s’andava a far visita o si ricevevano  parenti o amici, questi frutti  serviti dentro bicchierini da liquore  oramai  in disuso, avevano un ruolo significativo poiché la tradizione riteneva che con un bicchierino di amarene si potesse fare “sempre bella figura”.

Inoltre, si utilizzavano anche come toccasana in caso di perdita di conoscenza.

Partendo da Marena ovvero il borgo che confina con Roncate, si raggiunge questa altura denominata “el mutarel de Runcaa” in poco più di una ventina di minuti a piedi,  ma sebbene la distanza sia breve , quasi miracolosamente ci si trova immersi in un paesaggio molto differente,  a dir poco da incanto,  fra alberi imponenti,  arbusti di ogni tipo e un intenso profumo d’alloro.

Gli alberelli di amareni, causa l’incuria, negli anni si sono rinsecchiti o comunque hanno smesso di fruttificare. In alcuni punti rovi e rampicanti nella bella stagione creano delle vere e proprie muraglie verdeggianti, ma la vista del lago non è mai sminuita, proprio perché dall’altura di Roncate le panoramiche sono strabilianti.

Qui il silenzio è rotto soltanto dagli uccelli fra i rami e se si ha fortuna, si possono incontrare anche degli eleganti cervi o caprioli. Se invece si ha sfortuna,  si possono intravedere o udire  grugniti di cinghiali e cinghialotti  che in questi ultimi tempi spadroneggiano ovunque sino ad avvicinarsi  alle abitazioni quasi fossero animali domestici.

Per chi va in cerca di pace, per chi ama camminare in compagnia di sé stessi e  desidera lasciar fluttuare i propri pensieri in completa libertà godendo appieno della bellezza che la natura offre, l’eccezionalità di questo luogo non ha eguali.

Fioritura girasoli a Roncate

Forse Giacomo Leopardi,  che dal colle di Recanati immaginando spazi sconfinati oltre la siepe, compose l’Infinito, se avesse avuto la possibilità di lasciar spaziare la vista da questo colle, avrebbe dato vita a endecasillabi altrettanto sublimi.   

Nei giorni in cui scelgo la solitudine come amante, qui la mia inquietudine che a volte diviene persecuzione, si placa  sino a farmi provare l’illusoria sensazione di bastare a me stessa.

Rivedo l’amareneto potato e ordinato e una donna laboriosa dalle braccia forti che con la  “ranza” ossia la falce e, falcetto,  taglia l’erba, poi si china a pulire accuratamente in basso,  attorno ai tronchi degli alberi di amarene e poi ancora rastrella e  ammucchia l’erba tagliata.

Quando sarà ben secca, verrà  a riprenderla per portarla nel fienile e servirà  per foraggiare le mucche che a fine estate faranno ritorno dall’alpeggio di Nesdale gestito dal marito, mio padre.

Una bimba poco distante raccoglie le margherite, strappa i petali dalle corolle, gioca con i rametti degli alberi e pone domande:  “ Quando matureranno le amarene?”, “ Potrò venire con la mia amica Patrizia a raccoglierle?”, “Quando finisci di lavorare?”, “Non sei mai stanca, mamma?”.

La donna affaccendata non sempre risponde, mentre svolge quel lavoro già pensa al prossimo: deve accudire una famiglia numerosa con marito e quattro figli,  senza l’aiuto degli elettrodomestici, frigorifero compreso,  che ancora non erano entrati a far parte della quotidianità casalinga.

Le provviste che richiedevano una bassa temperatura erano conservate nelle cantine di cui erano dotate tutte le case di Roncate e borghi limitrofi e che nulla avevano in comune con le attuali cantine.

Quelle originali erano sempre ubicate al piano terra dell’abitazione che spesso era semi-interrato e perciò la pavimentazione era in terra battuta o sabbia e, le pareti mai intonacate bensì grezze in pietra viva.

Erano locali  dall’illuminazione scarsa: raramente avevano finestre che comunque ove presenti, erano grossolani buchi nei muri, meglio identificabili come prese d’aria.

Avevano  il pregio di mantenere una temperatura costante sia in inverno che in estate  e in  alcune era presente anche il pozzo dell’acqua sorgiva, destinata ad usi diversi dal consumo alimentare.

L’arredamento era essenziale: delle lunghe assi in legno ben levigate posizionate a ridosso delle pareti sulle quali in bella vista stagionavano le formaggelle fatte in casa, quindi ben allineate le botti contenenti il vino  mentre dal soffitto spesso ciondolavano salsicce, salami, cotechini e qualche rotolo di sugna, quest’ultima, una parte grassa del maiale destinata a molteplici usi compreso quello terapeutico. I salumi  erano confezionati  in casa poiché era costumanza acquistare alla fiera degli animali verso fine primavera, un maialino per poi farlo ingrassare e macellare nel periodo antecedente le feste natalizie. Lardo e pancetta  si conservavano ben stese sulle assi poiché richiedevano salatura e pepatura e inoltre, nelle cantine non mancavano mai  le damigiane in  vetro verde scuro contenenti  la “madre”, una sostanza gelatinosa indispensabile per la formazione dell’aceto che giunta a maturazione  rilasciava un  profumo intenso. Spesso c’erano anche bottiglioni della capacità di due litri contenenti l’olio poiché il clima mite del lago da sempre favorisce la coltivazione dell’ulivo. Nota la “Zoca de l’oli” della Tremezzina dove appunto ci stanno diversi uliveti.

In cantina si stoccavano anche le conserve: grandi vasi di vetro contenenti centrioli sotto aceto,  fagiolini, zucchine o la giardiniera di cui ero molto golosa, la salsa di pomodoro e altro.

Si conservava in cantina anche il burro, spesso fatto in casa oppure acquistato fresco in latteria: al fine di evitare che divenisse rancido, si cuoceva leggermente, quindi si metteva dentro appositi contenitori di terracotta, le cosiddette olle, per poi prelevarlo in piccole quantità all’occorrenza.

L’atmosfera delle cantine era alquanto suggestiva e  avvolgente: la peculiarità di ciascuna era  riconducibile alla posizione e al tipo di terreno su cui era stata realizzata la casa  poiché dentro  alcune la stagionatura dei salumi risultava migliore rispetto ad  altre,  che si rivelavano più adatte alla maturazione dei formaggi o all’invecchiamento dei vini.

L’utilizzo dei frigoriferi avvenuto successivamente, non ha comunque sostituito completamene le cantine. Gli innovativi elettrodomestici non sono stati in grado di offrire all’olfatto quell’appagamento legato alla profusione di profumi che vi si respirava al loro interno: aromi caseari, vinicoli, nonché quel profumo unico ed invitante rilasciato da salame e salamelle in stagionatura.

Profumi indimenticabili per chi li ha avvertiti,  emblemi della genuinità dei prodotti di quel tempo in cui l’uso di diserbanti e pesticidi  per gli abitanti di Roncate e dintorni non  era  neppure immaginabile. L’unico consorzio agrario presente sul territorio si limitava a vendere verderame, zolfo  e il veleno per i topi che presenziavano in tutte le abitazioni.

Infine, Roncate per coloro che non lo conoscessero,  è un borgo collinare naturalmente bello, soprattutto  per chi ricerca le atmosfere del passato, il sapore della campagna, il profumo del legno accatastato; per coloro che sanno godere della felicità che deriva dalla contemplazione.

E ancora, Roncate rimane teatro di leggende emozionanti fra le quali, la più conosciuta, quella relativa a un delitto causato da un amore contrastato in tempo di pestilenza e di cui, l’esistenza di alcuni affreschi pare comprovare la veridicità dell’evento.

Del resto gli amori contrastati  sono temi ricorrenti in tutti i tempi e per  chi predilige i drammi alle commedie, restano fra le narrazioni più attraenti.

Yvonne Pelizzari - 2022 ( riproduzione vietata )