domenica 7 agosto 2022

RONCATE, il borgo solitario ( Frazioni di SANSIRO)

 

Roncate o Runcaa come vuole la forma dialettale locale, è un grappolo di case,  alcune talmente vicine fra loro dall’avere un muro perimetrale comune a separare le proprietà.

Situato su un tratto di territorio lievemente scosceso, per lungo tempo è rimasto solitario poiché soltanto qualche decennio fa, fra problematiche non del tutto banali, venne costruito un tratto di  strada carrozzabile collegato alla principale che ora permette l’utilizzo dell’automobile sino all’ingresso del borgo. 

Le problematiche erano correlate al fatto che la realizzazione del tratto stradale imponeva l’occupazione di scampoli di prati e campi privati e i proprietari, contrari a cederne anche un solo centimetro, diedero vita a verbose dispute pubbliche che si protrassero  a lungo.

I terreni erano considerati alla pari dell’oro, contrariamente ad oggi in cui sono per lo più incolti, abbandonati a sé stessi.

Infine, l’elenco dei vantaggi ebbe il sopravvento, i contrari più tenaci alzarono bandiera bianca e la strada fu realizzata.

Attualmente termina in uno spiazzo oltre il quale occorre incamminarsi con scarpe adeguate, evitando possibilmente i tacchi troppo sottili.

Una mulattiera dal passato senza nome e ora divenuta Via Roncate, dalla pavimentazione in tozzetti di recente posa a sostituzione degli antichi ciottoli, fiancheggiata da case su ambo i lati,  conduce al centro, quello che la memoria restituisce come cuore pulsante del borgo.

Qui trovasi: una bella fontana erogatrice acqua potabile alla quale gli abitanti andavano a prendere l’acqua con secchi di metallo tipo zinco rinforzato o acciaio o alluminio, poiché la plastica era ancora agli esordi e il lavatoio, di dimensioni ridotte  rispetto a quelli presenti in altri borghi del comune di San Siro,  con appresso l’immancabile ruscello dalle acque mormoranti.



Qui al lavatoio, dove sino agli anni sessanta e poco oltre del novecento, le donne si ritrovavano con mastelli colmi di panni da lavare e sapone fatto in casa, lo spazio è angusto: un crocevia di strette viuzze fra le quali  una scende in direzione del lago che dista una ventina di minuti e l’altra, una breve scalinata in parte sovrastata da un portico, sbuca nella zona alta del borgo dove oggigiorno risiedono soltanto un paio di famiglie. 

La sporgenza di un balcone proprio sopra il lavatoio, contribuisce a negare a questo angolo angusto,  l’ingresso ai raggi del sole  e forse  anche  la luna, che  nelle notti di plenilunio con il suo chiarore regala al lago una inenarrabile magia, non riesce a penetrarvi.  

La descrizione sino qui fatta potrebbe indurre a far pensare che Roncate sia un borgo di scarso interesse mentre nella realtà  gode di un fascino singolare e osservato in lontananza è paragonabile a un grazioso presepe. Un contesto pittoresco, un sollazzo per il pennello di un pittore.



Percorrendo i saliscendi serpeggianti fra le case, si respira quell’ atmosfera  tipica che aleggia soltanto in quei  borghi antichi dove la vita scorreva  lentamente rispettando i ritmi scanditi dalle stagioni e dalle fasi lunari. Sebbene ora è avvolto da silenzio solenne, poiché non si sentono neppure i cani ad abbaiare, la sua storia racconta anni di splendore testimoniato da quel che resta di  una casa dalle pareti riccamente affrescate, presumibilmente appartenente alla Casa Primavera o Casa d’Oro, un’antica residenza , pare compresa nel distaccamento di un presidio austro-ungarico, che divenuta pericolante è stata demolita anni or sono.  

Roncate fu un borgo brioso e pure rumoroso. Alcuni decenni addietro era in attività l’osteria di Gemma con adiacente un ampio campo di bocce dove abitualmente gli uomini spendevano i pomeriggi domenicali giocando e sorseggiando fiaschi di vino proveniente dai vigneti locali.

Infatti, gli abitanti erano quasi tutti possidenti di appezzamenti di terreno più o meno ampi che  ben curavano e coltivavano poiché i frutti della terra rappresentavano la fonte principale per il sostentamento delle famiglie .

Ogni famiglia produceva il proprio vino e  anche a Roncate c’era un torchio vinario: “il torchio del Tognin” al servizio di tutti,  dove si portavano le vinacce per una seconda spremitura nei giorni successivi la vendemmia e la pigiatura, occasione in cui un allegro vociare si spandeva per le vie del borgo, proprio come magistralmente descrisse  Giosuè Carducci in  San Martino .

Il vino che lentamente colava  lungo le doghe della gabbia del torchio per poi incanalarsi nella scannellatura del basamento sino a immettersi in recipienti , destinati ad essere svuotati dentro le botti di legno, esprimeva la  gratificazione finale del lavoro lungo e meticoloso che la vigna richiedeva.


A rivelare l’importanza del borgo è rimasta anche la chiesetta dalle facciate tinteggiate di bianco,  dedicata ai  Santi Rocco e Sebastiano con l’antistante omonima piazzetta  rappresentata da un bel prato verde. Nei giorni in cui si celebrava la festa del Santo protettore: San Sebastiano, “il santo con la viola in mano”,  come vuole un antico proverbio del luogo a significare l’imminente  arrivo della primavera, accorrevano gli abitanti dell’intero territorio di San Siro e la festa  con canti , balli,  incanto dei canestri e giochi vari come l’albero della cuccagna e il tiro della fune, si protraeva ininterrottamente per diversi giorni.

San Sebastiano, stante alla leggenda, militare romano e martire per aver sostenuto la fede cristiana, si commemora il venti gennaio, periodo in cui le violette selvatiche iniziano a sbocciare, segno appunto che preannuncia la primavera.

 In ogni paesaggio c’è l’anima di chi guarda  ed io trovo RONCATE, oggi come ieri, un borgo ameno più d’altri. Porte e finestre di molte case ormai restano chiuse per la maggior parte dell’anno: gli anziani, anche i più longevi  sono partiti per quella meta che richiede il biglietto di sola andata e molti degli eredi si sono trasferiti altrove. La mancanza della carrozzabile  all’interno del borgo ha favorito l’esodo ma coloro che hanno fatto tale scelta privilegiando la comodità,  hanno sacrificato  una spettacolarità panoramica  sublime:  un sacrificio notevole poiché ritengo sia importante, sin dalla tenera età, educare la vista alla bellezza  per evitare che successivamente  si abitui  al brutto.

Roncate  gode  del privilegio di un’ampia visuale del lago: oltre a scorgere nitidamente  Dervio, Corenno Plinio, Bellano, centri abitati adagiati ai piedi delle montagne antistanti, son ben  visibili  Varenna e Bellagio, località la cui straordinaria bellezza richiama turisti  da tutto il  mondo.

Ma la vista può spaziare anche oltre,  sino a raggiungere scorci sorprendenti e  un buon tratto del manzoniano ramo di Lecco.


Roncate, poco distante dalla mia casa di pietra, la casa dell’infanzia alla quale ritorno sempre con rinnovata emozione,  è per me custode di  nostalgici ricordi.

In fondo al borgo, al termine di Via Val de I Fop,  superata  la casa  appartenuta a Ottaviano e Antonia, ora proprietà di “gente venuta da fuori” che qualcuno identifica anche con l’uso dell’appellativo “forestieri” ,   c’è un ruscello che alterna periodi di piena a periodi  quasi di secca,  oltre il quale inizia il bosco dove la mano d’uomo oramai non s’affatica più.

Si tratta di una dolce altura dalla sommità leggermente pianeggiante sulla quale gli alberelli  di amareni avevano trovato l’habitat ideale e nel periodo della fioritura offrivano uno spettacolo incantevole con le api che ronzavano  e si deliziavano succhiando il nettare. Le amarene che si differenziano dalle ciliegie per la loro asprezza, sono frutti apprezzati sin dal tempo dei romani e da queste parti quando raggiungevano la maturazione, si procedeva alla raccolta per la conservazione: si tagliava parte del picciolo e si immergevano nell’alcool  dentro bottiglie o vasi di vetro.

Ogni famiglia aveva la propria scorta e nelle occasioni in cui s’andava a far visita o si ricevevano  parenti o amici, questi frutti  serviti dentro bicchierini da liquore  oramai  in disuso, avevano un ruolo significativo poiché la tradizione riteneva che con un bicchierino di amarene si potesse fare “sempre bella figura”.

Inoltre, si utilizzavano anche come toccasana in caso di perdita di conoscenza.

Partendo da Marena ovvero il borgo che confina con Roncate, si raggiunge questa altura denominata “el mutarel de Runcaa” in poco più di una ventina di minuti a piedi,  ma sebbene la distanza sia breve , quasi miracolosamente ci si trova immersi in un paesaggio molto differente,  a dir poco da incanto,  fra alberi imponenti,  arbusti di ogni tipo e un intenso profumo d’alloro.

Gli alberelli di amareni, causa l’incuria, negli anni si sono rinsecchiti o comunque hanno smesso di fruttificare. In alcuni punti rovi e rampicanti nella bella stagione creano delle vere e proprie muraglie verdeggianti, ma la vista del lago non è mai sminuita, proprio perché dall’altura di Roncate le panoramiche sono strabilianti.

Qui il silenzio è rotto soltanto dagli uccelli fra i rami e se si ha fortuna, si possono incontrare anche degli eleganti cervi o caprioli. Se invece si ha sfortuna,  si possono intravedere o udire  grugniti di cinghiali e cinghialotti  che in questi ultimi tempi spadroneggiano ovunque sino ad avvicinarsi  alle abitazioni quasi fossero animali domestici.

Per chi va in cerca di pace, per chi ama camminare in compagnia di sé stessi e  desidera lasciar fluttuare i propri pensieri in completa libertà godendo appieno della bellezza che la natura offre, l’eccezionalità di questo luogo non ha eguali.

Fioritura girasoli a Roncate

Forse Giacomo Leopardi,  che dal colle di Recanati immaginando spazi sconfinati oltre la siepe, compose l’Infinito, se avesse avuto la possibilità di lasciar spaziare la vista da questo colle, avrebbe dato vita a endecasillabi altrettanto sublimi.   

Nei giorni in cui scelgo la solitudine come amante, qui la mia inquietudine che a volte diviene persecuzione, si placa  sino a farmi provare l’illusoria sensazione di bastare a me stessa.

Rivedo l’amareneto potato e ordinato e una donna laboriosa dalle braccia forti che con la  “ranza” ossia la falce e, falcetto,  taglia l’erba, poi si china a pulire accuratamente in basso,  attorno ai tronchi degli alberi di amarene e poi ancora rastrella e  ammucchia l’erba tagliata.

Quando sarà ben secca, verrà  a riprenderla per portarla nel fienile e servirà  per foraggiare le mucche che a fine estate faranno ritorno dall’alpeggio di Nesdale gestito dal marito, mio padre.

Una bimba poco distante raccoglie le margherite, strappa i petali dalle corolle, gioca con i rametti degli alberi e pone domande:  “ Quando matureranno le amarene?”, “ Potrò venire con la mia amica Patrizia a raccoglierle?”, “Quando finisci di lavorare?”, “Non sei mai stanca, mamma?”.

La donna affaccendata non sempre risponde, mentre svolge quel lavoro già pensa al prossimo: deve accudire una famiglia numerosa con marito e quattro figli,  senza l’aiuto degli elettrodomestici, frigorifero compreso,  che ancora non erano entrati a far parte della quotidianità casalinga.

Le provviste che richiedevano una bassa temperatura erano conservate nelle cantine di cui erano dotate tutte le case di Roncate e borghi limitrofi e che nulla avevano in comune con le attuali cantine.

Quelle originali erano sempre ubicate al piano terra dell’abitazione che spesso era semi-interrato e perciò la pavimentazione era in terra battuta o sabbia e, le pareti mai intonacate bensì grezze in pietra viva.

Erano locali  dall’illuminazione scarsa: raramente avevano finestre che comunque ove presenti, erano grossolani buchi nei muri, meglio identificabili come prese d’aria.

Avevano  il pregio di mantenere una temperatura costante sia in inverno che in estate  e in  alcune era presente anche il pozzo dell’acqua sorgiva, destinata ad usi diversi dal consumo alimentare.

L’arredamento era essenziale: delle lunghe assi in legno ben levigate posizionate a ridosso delle pareti sulle quali in bella vista stagionavano le formaggelle fatte in casa, quindi ben allineate le botti contenenti il vino  mentre dal soffitto spesso ciondolavano salsicce, salami, cotechini e qualche rotolo di sugna, quest’ultima, una parte grassa del maiale destinata a molteplici usi compreso quello terapeutico. I salumi  erano confezionati  in casa poiché era costumanza acquistare alla fiera degli animali verso fine primavera, un maialino per poi farlo ingrassare e macellare nel periodo antecedente le feste natalizie. Lardo e pancetta  si conservavano ben stese sulle assi poiché richiedevano salatura e pepatura e inoltre, nelle cantine non mancavano mai  le damigiane in  vetro verde scuro contenenti  la “madre”, una sostanza gelatinosa indispensabile per la formazione dell’aceto che giunta a maturazione  rilasciava un  profumo intenso. Spesso c’erano anche bottiglioni della capacità di due litri contenenti l’olio poiché il clima mite del lago da sempre favorisce la coltivazione dell’ulivo. Nota la “Zoca de l’oli” della Tremezzina dove appunto ci stanno diversi uliveti.

In cantina si stoccavano anche le conserve: grandi vasi di vetro contenenti centrioli sotto aceto,  fagiolini, zucchine o la giardiniera di cui ero molto golosa, la salsa di pomodoro e altro.

Si conservava in cantina anche il burro, spesso fatto in casa oppure acquistato fresco in latteria: al fine di evitare che divenisse rancido, si cuoceva leggermente, quindi si metteva dentro appositi contenitori di terracotta, le cosiddette olle, per poi prelevarlo in piccole quantità all’occorrenza.

L’atmosfera delle cantine era alquanto suggestiva e  avvolgente: la peculiarità di ciascuna era  riconducibile alla posizione e al tipo di terreno su cui era stata realizzata la casa  poiché dentro  alcune la stagionatura dei salumi risultava migliore rispetto ad  altre,  che si rivelavano più adatte alla maturazione dei formaggi o all’invecchiamento dei vini.

L’utilizzo dei frigoriferi avvenuto successivamente, non ha comunque sostituito completamene le cantine. Gli innovativi elettrodomestici non sono stati in grado di offrire all’olfatto quell’appagamento legato alla profusione di profumi che vi si respirava al loro interno: aromi caseari, vinicoli, nonché quel profumo unico ed invitante rilasciato da salame e salamelle in stagionatura.

Profumi indimenticabili per chi li ha avvertiti,  emblemi della genuinità dei prodotti di quel tempo in cui l’uso di diserbanti e pesticidi  per gli abitanti di Roncate e dintorni non  era  neppure immaginabile. L’unico consorzio agrario presente sul territorio si limitava a vendere verderame, zolfo  e il veleno per i topi che presenziavano in tutte le abitazioni.

Infine, Roncate per coloro che non lo conoscessero,  è un borgo collinare naturalmente bello, soprattutto  per chi ricerca le atmosfere del passato, il sapore della campagna, il profumo del legno accatastato; per coloro che sanno godere della felicità che deriva dalla contemplazione.

E ancora, Roncate rimane teatro di leggende emozionanti fra le quali, la più conosciuta, quella relativa a un delitto causato da un amore contrastato in tempo di pestilenza e di cui, l’esistenza di alcuni affreschi pare comprovare la veridicità dell’evento.

Del resto gli amori contrastati  sono temi ricorrenti in tutti i tempi e per  chi predilige i drammi alle commedie, restano fra le narrazioni più attraenti.

Yvonne Pelizzari - 2022 ( riproduzione vietata ) 

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