Situato su un tratto di
territorio lievemente scosceso, per lungo tempo è rimasto solitario poiché soltanto
qualche decennio fa, fra problematiche non del tutto banali, venne costruito un
tratto di strada carrozzabile collegato
alla principale che ora permette l’utilizzo dell’automobile sino all’ingresso del
borgo.
Le problematiche erano correlate
al fatto che la realizzazione del tratto stradale imponeva l’occupazione di scampoli
di prati e campi privati e i proprietari, contrari a cederne anche un solo centimetro,
diedero vita a verbose dispute pubbliche che si protrassero a lungo.
I terreni erano
considerati alla pari dell’oro, contrariamente ad oggi in cui sono per lo più
incolti, abbandonati a sé stessi.
Infine, l’elenco dei
vantaggi ebbe il sopravvento, i contrari più tenaci alzarono bandiera bianca e
la strada fu realizzata.
Attualmente termina in uno spiazzo oltre il quale occorre incamminarsi con scarpe adeguate, evitando possibilmente i tacchi troppo sottili.
Una mulattiera dal
passato senza nome e ora divenuta Via Roncate, dalla pavimentazione in tozzetti
di recente posa a sostituzione degli antichi ciottoli, fiancheggiata da case su
ambo i lati, conduce al centro, quello
che la memoria restituisce come cuore pulsante del borgo.
Qui trovasi: una bella fontana erogatrice acqua potabile alla quale gli abitanti andavano a prendere l’acqua con secchi di metallo tipo zinco rinforzato o acciaio o alluminio, poiché la plastica era ancora agli esordi e il lavatoio, di dimensioni ridotte rispetto a quelli presenti in altri borghi del comune di San Siro, con appresso l’immancabile ruscello dalle acque mormoranti.
Qui al lavatoio, dove sino
agli anni sessanta e poco oltre del novecento, le donne si ritrovavano con
mastelli colmi di panni da lavare e sapone fatto in casa, lo spazio è angusto:
un crocevia di strette viuzze fra le quali
una scende in direzione del lago che dista una ventina di minuti e l’altra,
una breve scalinata in parte sovrastata da un portico, sbuca nella zona alta
del borgo dove oggigiorno risiedono soltanto un paio di famiglie.
La sporgenza di un
balcone proprio sopra il lavatoio, contribuisce a negare a questo angolo
angusto, l’ingresso ai raggi del sole e forse
anche la luna, che nelle notti di plenilunio con il suo chiarore regala
al lago una inenarrabile magia, non riesce a penetrarvi.
La descrizione sino qui fatta potrebbe indurre a far pensare che Roncate sia un borgo di scarso interesse mentre nella realtà gode di un fascino singolare e osservato in lontananza è paragonabile a un grazioso presepe. Un contesto pittoresco, un sollazzo per il pennello di un pittore.
Percorrendo i saliscendi serpeggianti fra le case, si respira quell’ atmosfera tipica che aleggia soltanto in quei borghi antichi dove la vita scorreva lentamente rispettando i ritmi scanditi dalle stagioni e dalle fasi lunari. Sebbene ora è avvolto da silenzio solenne, poiché non si sentono neppure i cani ad abbaiare, la sua storia racconta anni di splendore testimoniato da quel che resta di una casa dalle pareti riccamente affrescate, presumibilmente appartenente alla Casa Primavera o Casa d’Oro, un’antica residenza , pare compresa nel distaccamento di un presidio austro-ungarico, che divenuta pericolante è stata demolita anni or sono.
Roncate fu un borgo
brioso e pure rumoroso. Alcuni decenni addietro era in attività l’osteria di
Gemma con adiacente un ampio campo di bocce dove abitualmente gli uomini spendevano
i pomeriggi domenicali giocando e sorseggiando fiaschi di vino proveniente dai
vigneti locali.
Infatti, gli abitanti
erano quasi tutti possidenti di appezzamenti di terreno più o meno ampi che ben curavano e coltivavano poiché i frutti
della terra rappresentavano la fonte principale per il sostentamento delle
famiglie .
Ogni famiglia produceva
il proprio vino e anche a Roncate c’era un
torchio vinario: “il torchio del Tognin” al servizio di tutti, dove si portavano le vinacce per una seconda
spremitura nei giorni successivi la vendemmia e la pigiatura, occasione in cui un
allegro vociare si spandeva per le vie del borgo, proprio come magistralmente
descrisse Giosuè Carducci in San Martino .
Il vino che lentamente colava lungo le doghe della gabbia del torchio per poi incanalarsi nella scannellatura del basamento sino a immettersi in recipienti , destinati ad essere svuotati dentro le botti di legno, esprimeva la gratificazione finale del lavoro lungo e meticoloso che la vigna richiedeva.
A rivelare l’importanza
del borgo è rimasta anche la chiesetta dalle facciate tinteggiate di bianco, dedicata ai
Santi Rocco e Sebastiano con l’antistante omonima piazzetta rappresentata da un bel prato verde. Nei
giorni in cui si celebrava la festa del Santo protettore: San Sebastiano, “il
santo con la viola in mano”, come vuole
un antico proverbio del luogo a significare l’imminente arrivo della primavera, accorrevano gli
abitanti dell’intero territorio di San Siro e la festa con canti , balli, incanto dei canestri e giochi vari come
l’albero della cuccagna e il tiro della fune, si protraeva ininterrottamente
per diversi giorni.
San Sebastiano, stante
alla leggenda, militare romano e martire per aver sostenuto la fede cristiana,
si commemora il venti gennaio, periodo in cui le violette selvatiche iniziano a
sbocciare, segno appunto che preannuncia la primavera.
Roncate gode del
privilegio di un’ampia visuale del lago: oltre a scorgere nitidamente Dervio, Corenno Plinio, Bellano, centri
abitati adagiati ai piedi delle montagne antistanti, son ben visibili Varenna e Bellagio, località la cui straordinaria
bellezza richiama turisti da tutto il mondo.
Ma la vista può spaziare anche oltre, sino a raggiungere scorci sorprendenti e un buon tratto del manzoniano ramo di Lecco.
Roncate, poco distante dalla mia casa di pietra, la casa dell’infanzia alla quale ritorno sempre con rinnovata emozione, è per me custode di nostalgici ricordi.
In fondo al borgo, al
termine di Via Val de I Fop, superata la casa appartenuta a Ottaviano e Antonia, ora proprietà
di “gente venuta da fuori” che qualcuno identifica anche con l’uso
dell’appellativo “forestieri” , c’è un
ruscello che alterna periodi di piena a periodi
quasi di secca, oltre il quale inizia
il bosco dove la mano d’uomo oramai non s’affatica più.
Si tratta di una dolce
altura dalla sommità leggermente pianeggiante sulla quale gli alberelli di amareni avevano trovato l’habitat ideale e
nel periodo della fioritura offrivano uno spettacolo incantevole con le api che
ronzavano e si deliziavano succhiando il
nettare. Le amarene che si differenziano dalle ciliegie per la loro asprezza,
sono frutti apprezzati sin dal tempo dei romani e da queste parti quando
raggiungevano la maturazione, si procedeva alla raccolta per la conservazione:
si tagliava parte del picciolo e si immergevano nell’alcool dentro bottiglie o vasi di vetro.
Ogni famiglia aveva la
propria scorta e nelle occasioni in cui s’andava a far visita o si ricevevano parenti o amici, questi frutti serviti dentro bicchierini da liquore oramai
in disuso, avevano un ruolo significativo poiché la tradizione riteneva
che con un bicchierino di amarene si potesse fare “sempre bella figura”.
Inoltre, si utilizzavano
anche come toccasana in caso di perdita di conoscenza.
Partendo da Marena ovvero
il borgo che confina con Roncate, si raggiunge questa altura denominata “el
mutarel de Runcaa” in poco più di una ventina di minuti a piedi, ma sebbene la distanza sia breve , quasi
miracolosamente ci si trova immersi in un paesaggio molto differente, a dir poco da incanto, fra alberi imponenti, arbusti di ogni tipo e un intenso profumo
d’alloro.
Gli alberelli di amareni,
causa l’incuria, negli anni si sono rinsecchiti o comunque hanno smesso di
fruttificare. In alcuni punti rovi e rampicanti nella bella stagione creano
delle vere e proprie muraglie verdeggianti, ma la vista del lago non è mai sminuita,
proprio perché dall’altura di Roncate le panoramiche sono strabilianti.
Qui il silenzio è rotto
soltanto dagli uccelli fra i rami e se si ha fortuna, si possono incontrare
anche degli eleganti cervi o caprioli. Se invece si ha sfortuna, si possono intravedere o udire grugniti di cinghiali e cinghialotti che in questi ultimi tempi spadroneggiano
ovunque sino ad avvicinarsi alle
abitazioni quasi fossero animali domestici.
Per chi va in cerca di pace, per chi ama camminare in compagnia di sé stessi e desidera lasciar fluttuare i propri pensieri in completa libertà godendo appieno della bellezza che la natura offre, l’eccezionalità di questo luogo non ha eguali.
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Fioritura girasoli a Roncate |
Forse Giacomo Leopardi, che dal colle di Recanati immaginando spazi
sconfinati oltre la siepe, compose l’Infinito, se avesse avuto la possibilità
di lasciar spaziare la vista da questo colle, avrebbe dato vita a endecasillabi
altrettanto sublimi.
Nei giorni in cui scelgo
la solitudine come amante, qui la mia inquietudine che a volte diviene
persecuzione, si placa sino a farmi
provare l’illusoria sensazione di bastare a me stessa.
Rivedo l’amareneto potato
e ordinato e una donna laboriosa dalle braccia forti che con la “ranza” ossia la falce e, falcetto, taglia l’erba, poi si china a pulire
accuratamente in basso, attorno ai
tronchi degli alberi di amarene e poi ancora rastrella e ammucchia l’erba tagliata.
Quando sarà ben secca,
verrà a riprenderla per portarla nel
fienile e servirà per foraggiare le
mucche che a fine estate faranno ritorno dall’alpeggio di Nesdale gestito dal
marito, mio padre.
Una bimba poco distante raccoglie
le margherite, strappa i petali dalle corolle, gioca con i rametti degli alberi
e pone domande: “ Quando matureranno le
amarene?”, “ Potrò venire con la mia amica Patrizia a raccoglierle?”, “Quando
finisci di lavorare?”, “Non sei mai stanca, mamma?”.
La donna affaccendata non
sempre risponde, mentre svolge quel lavoro già pensa al prossimo: deve accudire
una famiglia numerosa con marito e quattro figli, senza l’aiuto degli elettrodomestici,
frigorifero compreso, che ancora non erano
entrati a far parte della quotidianità casalinga.
Le provviste che richiedevano
una bassa temperatura erano conservate nelle cantine di cui erano dotate tutte
le case di Roncate e borghi limitrofi e che nulla avevano in comune con le
attuali cantine.
Quelle originali erano
sempre ubicate al piano terra dell’abitazione che spesso era semi-interrato e perciò
la pavimentazione era in terra battuta o sabbia e, le pareti mai intonacate
bensì grezze in pietra viva.
Erano locali dall’illuminazione scarsa: raramente avevano
finestre che comunque ove presenti, erano grossolani buchi nei muri, meglio
identificabili come prese d’aria.
Avevano il pregio di mantenere una temperatura
costante sia in inverno che in estate e
in alcune era presente anche il pozzo
dell’acqua sorgiva, destinata ad usi diversi dal consumo alimentare.
L’arredamento era essenziale: delle lunghe assi in legno ben levigate
posizionate a ridosso delle pareti sulle quali in bella vista stagionavano le
formaggelle fatte in casa, quindi ben allineate le botti contenenti il vino mentre dal soffitto spesso ciondolavano
salsicce, salami, cotechini e qualche rotolo di sugna, quest’ultima, una parte
grassa del maiale destinata a molteplici usi compreso quello terapeutico. I
salumi erano confezionati in casa poiché era costumanza acquistare alla
fiera degli animali verso fine primavera, un maialino per poi farlo ingrassare
e macellare nel periodo antecedente le feste natalizie. Lardo e pancetta si conservavano ben stese sulle assi poiché
richiedevano salatura e pepatura e inoltre, nelle cantine non mancavano mai le damigiane in vetro verde scuro contenenti la “madre”, una sostanza gelatinosa
indispensabile per la formazione dell’aceto che giunta a maturazione rilasciava un
profumo intenso. Spesso c’erano anche bottiglioni della capacità di due
litri contenenti l’olio poiché il clima mite del lago da sempre favorisce la
coltivazione dell’ulivo. Nota la “Zoca de l’oli” della Tremezzina dove appunto
ci stanno diversi uliveti.
In cantina si stoccavano anche le conserve: grandi vasi di vetro
contenenti centrioli sotto aceto,
fagiolini, zucchine o la giardiniera di cui ero molto golosa, la salsa
di pomodoro e altro.
Si conservava in cantina anche il burro, spesso fatto in casa oppure
acquistato fresco in latteria: al fine di evitare che divenisse rancido, si
cuoceva leggermente, quindi si metteva dentro appositi contenitori di
terracotta, le cosiddette olle, per poi prelevarlo in piccole quantità
all’occorrenza.
L’atmosfera delle cantine era alquanto suggestiva e avvolgente: la peculiarità di ciascuna
era riconducibile alla posizione e al
tipo di terreno su cui era stata realizzata la casa poiché dentro
alcune la stagionatura dei salumi risultava migliore rispetto ad altre, che si rivelavano più adatte alla maturazione
dei formaggi o all’invecchiamento dei vini.
L’utilizzo dei
frigoriferi avvenuto successivamente, non ha comunque sostituito completamene
le cantine. Gli innovativi elettrodomestici non sono stati in grado di offrire
all’olfatto quell’appagamento
legato alla profusione di profumi che vi si respirava al loro interno: aromi
caseari, vinicoli, nonché quel profumo unico ed invitante rilasciato da salame
e salamelle in stagionatura.
Profumi indimenticabili per chi li ha avvertiti, emblemi della genuinità dei prodotti di quel tempo in cui l’uso di diserbanti e pesticidi per gli abitanti di Roncate e dintorni non era neppure immaginabile. L’unico consorzio agrario presente sul territorio si limitava a vendere verderame, zolfo e il veleno per i topi che presenziavano in tutte le abitazioni.
Infine, Roncate per
coloro che non lo conoscessero, è un borgo
collinare naturalmente bello, soprattutto
per chi ricerca le atmosfere del passato, il sapore della campagna, il
profumo del legno accatastato; per coloro che sanno godere della felicità che deriva
dalla contemplazione.
E ancora, Roncate rimane
teatro di leggende emozionanti fra le quali, la più conosciuta, quella relativa
a un delitto causato da un amore contrastato in tempo di pestilenza e di cui, l’esistenza
di alcuni affreschi pare comprovare la veridicità dell’evento.
Del resto gli amori
contrastati sono temi ricorrenti in
tutti i tempi e per chi predilige i
drammi alle commedie, restano fra le narrazioni più attraenti.
Yvonne Pelizzari - 2022 ( riproduzione vietata )
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