venerdì 19 giugno 2020

GALLIO - I borghi di SAN SIRO ( Lago di Como)

Ritornando a GALLIO ( Lago di Como)
“La bellezza è il nome di qualcosa che non esiste,
che io do alle cose in cambio del piacere che mi danno.”
(Fernando Pessoa)

La strada che fiancheggia Gallio
Innamorata della bellezza che ricerco ovunque: dentro un libro, dentro un quadro, in un luogo, in un panorama, ho lasciato la casa di pietra e mi sono incamminata per le vie di San Siro, le vie della mia infanzia.
I luoghi come tutte le cose, con il trascorrere del tempo subiscono mutamenti: vengono abbattuti edifici, altri ne vengono ricostruiti, gli spazi riprogettati e altro ancora e per questo, se possibile, io torno volentieri sui miei passi.
A San Siro e alle sue frazioni ho dedicato il mio secondo libro, pubblicato in un momento critico della vita, per cui avendolo riletto in questi giorni, ho rilevato alcune disattenzioni tanto che si è insinuato in me il desiderio di revisionarlo e implementarlo. Non so se lo farò, ma trovandomi a rivivere il mio paese per una periodo assai lungo a causa della pandemia ancora in corso, ho deciso di ritornare a rivedere quegli stessi borghi descritti nel IL MIO PAESE DENTRO UN ROMANZO.
Dopo Soriano, è stato il turno di GALLIO: la frazione situata a circa metà della montagna. Estesa in lunghezza più che in larghezza, GALLIO gode di una posizione privilegiata, molto soleggiata nonostante dentro gli stretti vicoli regni prevalentemente l’ombra.
Non vi è dubbio che un tempo rientrasse fra le frazioni più popolose poiché la presenza di fabbricati è consistente, prevalentemente “storici” realizzati in pietra grigia, la pietra tipica della zona.
Alcune di esse sono state ben recuperate e lasciano intuire che siano divenute case di vacanza, seconde case, forse di proprietà degli eredi di molti di coloro che da Gallio erano andati all’estero in cerca di lavoro e poi vi erano rimasti, ma molte, anzi troppe, versano in uno stato di desolante abbandono.
passeggiando per i vicoli
La strada carrozzabile fiancheggia Gallio in tutta la sua lunghezza nel contempo che sale verso monte e, l’intero borgo è percorribile unicamente a piedi e con scarpe adeguate.
Mi sono incamminata lentamente soffermandomi ad osservare i giardinetti fioriti fra le case, le scale in pietra, i portoni in legno, i lavatoi e le fontane.
casa con affresco

Fontana di Gallio
Ho ritrovato la frazione di GALLIO molto ordinata nonostante alcuni angoli siano emblema di innegabile decadenza.
Trattenendomi dinnanzi ad alcune case ho cercato di ricordare chi le avesse abitate poichè da bambina  transitavo  spesso da qui, per raggiungere i Monti che si trovano molto più sopra, oltre i mille metri: Monti di Gallio, Monti della Linghera etc. , gruppetti di baite oggi  divenuti luoghi di villeggiatura.
Ricordi che non ho trovato. Nei pressi della chiesetta dedicata a Santa Lucia il cui campanile sovrasta il borgo, le case sono molto ravvicinate fra loro e le stradine saliscendi inducono in errore.
Una fra le poche case con la porta d’ingresso spalancata mi ha particolarmente incuriosita: ho allungato lo sguardo all’interno ed ho intravisto un’ampia scala dai grandi pioli in pietra fissati alla parete, inequivocabilmente conforme alle sue origini. Una scala straordinariamente interessante poiché oggi di simili non se ne realizzano più.  Da una breve conversazione con un cortese signore che  se ne stava tranquillamente seduto sul terrazzo al primo piano, sono venuta a conoscenza che  lui  è il nuovo proprietario e   l'ha acquistata in tempi assai recenti.  Ebbene io quella casa, pur non ricordandomene, sono certa di esserci entrata poiché apparteneva al Silvio detto "Cela", un personaggio considerato dagli abitanti del luogo,  “singolare” a causa di un qualche suo difetto fisico . Comunque un uomo buono. 
La Chiesetta sta proprio nel centro del borgo, ma è aperta al pubblico solo in qualche rara occasione e sempre a dicembre nel giorno di Santa Lucia, la santa probabilmente designata protettrice di Gallio. Sopra il portone d’ingresso troneggia un’imponente statua lignea con didascalia in latino che evidenzia la data 1822.
"La chiesina di modeste dimensioni, era dedicata ai Santi Rocco e Sebastiano, come è dimostrato dalla Visita pastorale del Vescovo Archinti nel 1599. Dal 1952 gli abitanti di Gallio hanno scelto di festeggiare, come patrona, Santa Lucia forse perché «rimaneva l’unica ricorrenza religiosa libera da festeggiamenti in periodo invernale quando la popolazione era costretta al riposo dal maltempo che ostacolava i lavori agricoli». http://web.tiscali.it/san.siro/gallio.htm

Ho poi raggiunto le ultime case del borgo, sono salita sino su, alla contrada un tempo detta degli “uloc” dove abitava fra gli altri anche lo zio Severin, che mio zio non lo era affatto, ma lo sarebbe potuto divenire.
Questa: un tempo una graziosa casetta singola dotata di un bel terrazzo da cui godere la vista del lago. Oggi , l’ho ritrovata semplicemente una casa morente.

Proseguendo sulla mulattiera fiancheggiata da frondosi alberi che accompagna fuori dal borgo, c’è ancora una lavatoio dall’uso compromesso, per il quale non ho trovato una giusta ragione per cui li fosse collocato. Distante dalle case e raggiungibile solo dalla mulattiera in salita, non era certamente funzionale per le donne che dovevano caricarsi dei mastelli con la biancheria.
Da informazioni ottenute dalla Sig. ra Rosa, che ben conosce Gallio per esservi nata, ho saputo che l'acqua di questo lavatoio , "detto  in dialetto Gurno' , era ottima  e la fatica di portare  la roba da lavare con la gerla, era ricompensata dall'acqua fresca d'estate e tiepida d'inverno".
Ebbene qui al lavatoio mi sono intrattenuta per una decina di minuti per godermi l’incredibile pace ed assaporare un’atmosfera ben diversa da quella che respiro nella roboante Milano.
Un melodioso concerto di uccelli, inspiegabilmente, mi ha trasmesso una gioia crescente.

Sono ritornata indietro, ho percorso altri viottoli passando pure sotto antichi portici, ho intrapreso Via Piancee, ho superato la via delle Trenta Graa e ho proseguito oltre la solitaria Cappelletta della Madonnina sino ad inoltrarmi per un breve tratto in quel territorio divenuto bosco, soltanto bosco: fronde che fremono al vento, l’aria pregna del profumo della santoreggia selvatica, il canto dei grilli, il ronzio delle mosche e niente altro più se non una inenarrabile vistalago.

Abbandonarsi alla meditazione per riscoprire il sapore della quieta vita.
I borghi di SAN SIRO sono delle piccole meraviglie, molti dei quali sparpagliati sul costone della montagna ed immersi nel verde: non vantano monumenti o opere d’arte, forse soltanto segni di incisioni rupestri, ma testimoniano storie di vite laboriose poiché le fontane, i lavatoi, le piazzette e le case costruite in pietra risalenti a un tempo in cui la carrozzabile non esisteva, inducono ragionevolmente a credere che fossero quelle , tutte pietre portate in spalla e lavorate e a mano.
Maggio 2020- Yvonne - (Riproduzione vietata)- Rev. genn 2021
Panoramica di Gallio ripresa dal basso 

martedì 16 giugno 2020

PRANZI DI FAMIGLIA - ROMANA PETRI


PRANZI DI FAMIGLIA


Le relazioni famigliari sono spesso assai complicate, ma per  svariate ragioni, a me incomprensibili, pubblicamente la maggior parte delle persone  tende ad esibire situazioni famigliari idilliache.
E’ pur vero che i panni sporchi si dovrebbero lavare in casa, ma io penso che si potrebbero lavare in casa e basta,  senza poi ricorrere a false, eccessive  e inutili esibizioni.
Tale premessa del tutto personale nasce dalla lettura di questo  romanzo di Romana Petri, dal titolo PRANZI DI FAMIGLIA.
Un romanzo molto realistico. Personalmente non ho trovato nulla di fantasioso , potrebbe trattarsi di una storia vera.

ROMANA PETRI è un bravissima scrittrice italiana, nata a Roma. Ha ottenuto numerosi premi e per ben due volte è stata finalista  al Premio Strega.  
La donna delle Azzorre è il romanzo che me l’ha fatta conoscere ed in seguito a quella lettura ho inserito nelle mete da raggiungere le Azzorre e l’isola di Pico.
Apprezzo molto il suo stile letterario, elegante, incisivo.

PRANZI DI FAMIGLIA mi ha molto coinvolta anche perché ambientato  a Lisbona, mi ha fatto rivivere il mio soggiorno in quella città che profuma di nostalgia e di cui conservo un bellissimo ricordo.
Grazie a Romana Petri e a suoi PRANZI DI FAMIGLIA , mi sono sentita proiettare nel parco di Belem dove giunsi esausta dopo aver camminato un intero pomeriggio, ho rivisto il Ponte 25 Abril , la Rua Almirante,  ho ritrovato l’atmosfera dell’Alfama e altro ancora.

TRAMA

Protagonista del romanzo è una famiglia portoghese: TIAGO il padre, un uomo di successo e di potere tanto da divenire ministro della sanità,  MARIA do CEU , moglie di Tiago e madre di tre figli: RITA e i gemelli VASCO e JOANA.
RITA purtroppo  nasce con diverse malformazioni  per cui  la madre, con un enorme dispendio di energie la fa sottoporre a numerose operazioni affinchè possa ottenere un aspetto migliore ma al termine di ogni intervento chirurgico il risultato non è mai del tutto soddisfacente per cui gli interventi si susseguono.  
Il matrimonio di TIAGO e MARIA do CEU va in frantumi,  si separano, apparentemente senza drammi  e, lui si lega ad un’altra donna, MARTA, che alla fine sposerà.
TIAGO  comunque  ogni domenica offre il pranzo alla famiglia originaria nei vari ristoranti di Lisbona, sempre scelti con cura e di ottimo livello ed ai quali MARTA non partecipa mai.
Maria do Ceu muore prematuramente e l’apparente armonia immediatamente si sgretola.
“Era la madre a essere intima con ciascuno dei suoi figli. L’intimità sera solo lei”.
Nella casa di famiglia rimane Rita e Vasco poiché Joanna si è già sposata, ma la convivenza si rivela alquanto problematica poiché Rita è costantemente in preda all’ira e quindi Vasco che lavora
nella galleria d’arte di sua proprietà,   valuta di trovare una soluzione alternativa.
E la troverà: in un modo alquanto strano conosce un’artista italiana, la pittrice  Luciana ALBERTINI, per lei allestisce una mostra nella sua galleria ed inizia così una storia stravagante  perché lei, è un tipo stravagante. Una bellissima storia d’amore che indurrà Vasco ad abbandonare tutto e trasferirsi a Roma.
(Vasco indubbiamente nel romanzo ha un ruolo preponderante , anzi diviene protagonista principale.)
In ogni caso, nel mentre che gli eventi si susseguono, i pranzi si ripetono ogni domenica, divengono una tortura, spesso al termine i partecipanti  vanno via quasi fuggendo.
Ciò nonostante nessuno trova mai  il coraggio di sottrarsi.
Pranzi di silenzi, pranzi di ostilità celata  oppure pranzi in cui lui, Tiago, soprannominato da Vasco “pavone” , non fa altro che elencare i suoi impegni importanti, gli incontri con personaggi di potere, viaggi in città disparate e soggiorni in hotel di lusso.
Comunque in uno di quei pranzi i tre fratelli si ritrovano accomunati da un fatto alquanto insolito: nessuno dei tre conserva ricordi del passato, come se avessero rimosso tutto, come se avessero bevuto il “siero dell’oblio”.
Forse non sono mai stati felici per cui non hanno ricordi che meritano di essere ricordati?
Sarà Rita che con il trascorrere degli anni, dopo essersi accettata ed aver placato l’ira dentro di sé, ricostruirà la storia anche attraverso documenti presenti negli archivi dello Stato ed in conclusione emergerà una realtà ben diversa da quella che Maria do Ceu, aveva raccontato.
Sempre così: nulla è come appare.
Ho trascurato la figura di JOANA, sorella di VASCO, una donna bellissima, che si sposa con un uomo “monotono” che la porta alla depressione. Solo alla fine del romanzo, dopo la terapia psicologica  pagata dal padre, riesce in parte a  riscattarsi tornando a vivere nella sua Lisbona.

Non mi dilungo nelle impressioni personali perché ritengo di averle espresse  all’inizio.
Ripeto che  si tratta di un romanzo coinvolgente che ho letto con molto piacere e interesse, ho trovato molti spunti di riflessioni e molti punti che avvalorano le mie convinzioni: nessuna famiglia è perfetta, dove ci sono più figli i motivi di disaccordo sono maggiori e spesso affiorano quando subentrano cognate e cognati.
Neppure i genitori perfetti esistono e spesso i figli ignorano molte cose dei propri genitori.
Infine l’infedeltà ha più letture , le cause che la determinano sono molteplici e spesso l’infedeltà esiste soltanto perché “gli affini” non sempre  si incontrano.

STRALCI
( a proposito di compleanni, di ricorrenze)

-          Quei benedetti preparativi delle feste. Erano tutto. Venivano organizzati nel minimo dettaglio, nulla doveva essere lasciato al caso. Era come se lì dentro ci mettessero tutto quello che non potevano avere, come se organizzarli sempre con molto anticipo ne garantisse la riuscita. Era nei preparativi che infilavano i sentimenti, ce li spingevano a forza, e si consultavano con una serie di telefonate che cominciavano almeno due settimane prima.
-          Tutto il tragico si basa su una contraddizione inconciliabile. Non appena si rende possibile un accomodamento, il tragico scompare.
-           
-          Le cose cambiano sempre all’improvviso, anche quando credi siano annunciate, e ciò che irrompe è la differenza, la differenza tra quello che c’era prima e quello…..”
-          Per farsi voler bene bisogna saper parlare.

I portoghesi sono tristi ed accettano di esserlo……
“Ci siamo abituati. Un tempo eravamo un popolo molto potente, ma poi abbiamo perso l’impero e non siamo stati capaci di costruire molto altro. Ci siamo ripiegati su noi stessi. In fondo  questo il senso della parola saudade. E’ il rimpianto di una ricchezza perduta”

-          Le origini non si cancellano nemmeno con anni e anni di addestramento, restano incollate addosso. Si può restare poveri anche da ricchi. E alla fine tanto la povertà del passato come la ricchezza del presente possono diventare una colpa perseguita.

Giugno 2020 - Yvonne

lunedì 15 giugno 2020

CARCENTE - I borghi di SAN SIRO ( Lago di COMO)


CARCENTE - Il borgo che preserva il passato  

Carcente,
case di pietra abbarbicate al costone
rimaneggiate con grande deferenza verso le origini,
un reticolo di viuzze in cui respirare profumo di un tempo volato via
vista spettacolare
Carcente,
incantevole fra luci soffuse
e musica coinvolgente seppur discreta.
Carcente  straniero nel cuore di San Siro
un borgo da vivere più che da raccontare.
10 luglio 2016 – Y.P



Sono andata a Carcente, sede del Museo Casa Rurale, più volte in occasione di eventi culturali e l’ultima volta l’anno scorso in una splendida serata d’agosto dedicata alla proiezione del docu-film di Riccardo Maffioli “ PORTAVAMO IL SACCO” a cui ho collaborato.
Museo
In quella circostanza mi ero promessa che sarei ritornata con la luce del giorno per meglio visitare il noto borgo.  Ebbene, oggi pomeriggio ci sono andata e mai avrei immaginato che Carcente fosse evoluto così, così come ora cercherò di descrivere.



Carcente è parte del Comune di SAN SIRO.
La solita strada che da Santa Maria e  da Rezzonico sale su per la montagna: arrivati alla Cappelletta Monumento agli Alpini ci si trova a un bivio, a destra si va per Treccione a sinistra per Carcente.
Qui la rotabile non è particolarmente in salita, è semplicemente solitaria fiancheggiata da frondosi alberi e anche abbondanti roveti, comunque molto gradevole da percorrere a piedi.
Al termine della strada un piccolo parcheggio, una breve salita e s’intraprende la mulattiera pianeggiante che fa da ingresso al borgo.  
Io sono stata accolta dal verso o canto insistente di un cuculo, che ho apprezzato perché era da molto tempo che non avevo modo di udirlo.
In città non ci sono cuculi o forse ci sono cuculi diversi.
Entrando in Carcente da subito si ha l’impressione di trovarsi in un luogo ordinato, curato,  ben tenuto.


Catturano l’attenzione numerosi dettagli che evidenziano l’amore degli abitanti per il luogo e soprattutto l’intenzionalità a conservarne storia e autenticità: son molte le case ristrutturate, ma eccezione fatte per i tetti che sicuramente le piode hanno ceduto il posto a tegole e coppi, le facciate sono state rinnovate lasciando le pietre originali ben in vista.

Carcente è dislocato su un tratto di territorio in pendenza, completamente circondato dai boschi e, dal mio punto d’osservazione sono portata a pensare che case di edificazione recente non ve ne siano.
Le case di Carcente sono quasi tutte recuperate e rimaneggiate.
Tutte molto graziose tranne qualcuna che ancora necessita di ristrutturazione ed è in vendita.

Dedali di viottoli serpeggianti dal fondo acciottolato , che corrono da un uscio all’altro, salite e discese ingannevolmente in apparenza uguali, alcune stradine davvero strette, a occhio e croce un metro circa,  impenetrabili dai raggi di sole, ma molto suggestive.
Alcune pare addirittura che vogliono invitare il visitatore a percorrerle.
Carcente un contesto delizioso dall’atmosfera avvolgente.
Carcente gentile e accogliente, ai miei occhi molto romantico.

Credo che ci sia stato un tempo in cui gli abitanti erano numerosi poiché rispetto ad altri borghi di SAN SIRO ci sono molte case: il lavatoio ossia quella costruzione con vasche di acqua corrente per il lavaggio dei panni, è assai ampio, le fontane a cui si andava a prendere l’acqua sono almeno tre, diverse le piazze e piazzette come Piazza de L’era de sott e Piazza de L’era de volt.

  Inoltre c’è pure una bella chiesetta antistante al Sagrato di San Rocco e San Sebastiano raggiungibile attraverso il Vicolo alla Chiesa, lo stesso vicolo che conduce al Museo.

Nel mio gironzolare ho accolto l’invito della stradina che riportava l’indicazione per Piazza di Prott e sono arrivata così in un bellissimo pianoro ombroso paragonabile a un parco: uno spazio in cui ero già stata anni addietro in occasione di una sagra mangereccia.

Qui la vista si sorprende poiché è possibile vedere quella parte del corollario montagnoso del lago che generalmente non è visibile altrove e anche un buon tratto del ramo manzoniano.



Chi mi segue, sa che mi diletto a descrivere i luoghi unicamente come io li vedo, tralasciando quelle informazioni che sono reperibili nelle guide turistiche e quindi mi azzardo a scrivere che ritengo CARCENTE un luogo di cultura poiché sul tratto di mulattiera che conduce in Piazza di Prott, ho trovato un piccolo spazio assimilabile a un belvedere, con tre panchine ben poste all’ombra di un magnifico albero e su una di esse, c’erano due volumetti. Un invito alla lettura!
E’ comunque innegabile che Carcente sia sensibile all'attività culturale: gli eventi al Museo  infatti sono spesso culturali. Lettura di poemi quali l’ENEIDE, la DIVINA COMMEDIA, mostre fotografiche, musica e altro.
Carcente già ha una sua notorietà specifica riconducibile al Museo, ma penso meriti ancora di più perché paesaggisticamente è davvero meritevole e si contraddistingue dagli altri borghi di San Siro per l’autenticità primitiva conservata.
  

E preservare il passato significa conservare un patrimonio e arricchire il futuro.  
Ovviamente Carcente non è un luogo per vecchi, poiché portare borse e bagagli vari dal parcheggio alle abitazioni può essere complicato e pesante.
Carcente  comunque molto apprezzato dagli stranieri, non  è  affatto un borgo morente e neppure troppo silente: molte sono le case abitate,  dai balconi e terrazzi ho sentito vociare, molti i cani dentro i giardini che abbaiavano al mio passare, ho incontrato due turisti estasiati alla scoperta di angoli particolari e , seduto in poltrona  dinnanzi ad una casa un uomo,  che per un attimo ho distolto alla lettura del libro che aveva fra le mani, per chiedergli un’informazione:
“ Mi saprebbe dire , per favore, dove porta la strada che va verso il torrente, quella dove c’è anche un bel  “ gesiu” con la statuetta della Madonna protetta da  una nicchia in legno? “
“ Certamente.  Termina a Breglia”.


Mi è sembrata una bella mulattiera sicuramente ombrosa poichè penetra la boscaglia e , io durante l’estate la percorrerò. 


Giugno 2020- Y. Pelizzari ( Riproduzione vietata senza autorizzazione)



lunedì 8 giugno 2020

REZZONICO- La perla di SAN SIRO ( Lago di COMO)


REZZONICO- La perla di San Siro

Rezzonico ripreso da Santa Maria


Il borgo di Rezzonico visto dal lago o da Santa Maria offre  una prospettiva alquanto seducente e da sempre è lo scatto fotografico maggiormente utilizzato per rappresentare il comune di San Siro.
Busta comunale del 1990
REZZONICO, “un ensemble” di case e casette spesso unite fra loro da un muro portante in  comune  ( una modalità molto in uso nel passato poichè consentiva risparmio di denaro e di  spazio),  dalla Strada Regina scende sino a farsi lambire dalle acque del lago e i diversi saliscendi come  Via al Castello, Via della Scalottola, Contrada Larga contribuiscono a rendere il contesto suggestivo e fascinoso.  Non solo: la presenza del Castello con le torri  a finitura merlata, una in particolare che svetta sopra i tetti delle case, foggia un colpo d’occhio di grande effetto!




Contrada Larga 

Caratteristico è  anche l’angolo giù al lago raggiungibile passando sotto una breve loggia,
 notevolmente mutato negli ultimi decenni: un tempo vi era un porticciolo per le barche e il pontile per l’attracco dei battelli della Navigazione Lago di Como, mentre ora c’è un’ampia terrazza prospiciente le acque con delle panchine e i rimanenti portici dove i pescatori si ritrovavano a ripulire le  reti stanche.

Rezzonico è stato per lungo tempo principalmente un “ borgo di pescatori” e, le numerose  postazioni  in legno simili a cavalletti dotati di una seduta posizionati a riva dai pescatori contemporanei,  presenti  in Ripa Rivetta e in Ripa Calchera confermano che ancora si pesca.

Non è comunque mia intenzione soffermarmi sulla narrazione di Rezzonico poiché l’ho già fatto dedicandogli diverse pagine del mio libro “ IL MIO PAESE DENTRO UN ROMANZO”, anche se non nego che ad ogni mio ritorno,  Rezzonico mi sorprende sempre a livello emotivo, anche perché rievoca storie di giorni abbastanza recenti tanto che i miei racconti passati avrebbero bisogno di integrazioni e aggiornamenti.
Indimenticabile la visita al borgo in compagnia di Riccardo Maffioli, l’artista bresciano che ha immortalato quel tempo con il quadro divenuto copertina del mio libro!
Anche lui rimase rapito dalla prospettiva regalata da via della Scalottola e in Ripa Calchera e Rivetta scattò numerose foto,  forse per portare con sé scorci da poesia o forse scorci da pittore perché è innegabile che gli artisti vedono ciò che a molti sfugge.
 
Via della Scalottola
Comunque pure Rezzonico negli anni  è  divenuto  un borgo silente.
La chiesetta  in piazza del Castello dal portone sempre aperto e sempre vuota: spesso scendo fino ai portici dei pescatori  senza incontrare anima viva e ritrovando unicamente  ricordi  dal divenire  incerto, forse destinati  a morire: quella che fu la macelleria dell’Angelo che incartava la carne con la tipica carta giallastra, la panetteria del Tony e della Zita dal cui caseggiato non trapela più il profumo di pane, in via Contrada Maggiore  ritrovo l’edifico che ospitava un’altra macelleria di cui mi sfugge il nome del proprietario e infine la bottega di stoffe e biancheria per la casa della Carla, deceduta solo qualche anno fa.

Un’immagine appannata  mi fa rivedere personaggi singolari seduti su di una breve scalinata, i tipici venditori di pesci che quando la pesca era abbondante raggiungevano con i loro cesti pieni di agoni o lavarelli i borghi più distanti dal lago: il Giulietto e il Pino  forse detto Pinon per l’imponente fisicità.
In Ripa Calchera, che si raggiunge passando dinnanzi a quella che fu la sede delle Poste Italiane a cui affluiva l’intera popolazione di San Siro e,  del Ristorante degli I Dea  ( un’importante famiglia del luogo) che  non era solo un ristorante, anche nella bella stagione, quando l’affluenza turistica è notevole,  non è raro potersi immergere nel silenzio rigenerante rotto soltanto dallo sciabordio delle onde che s’infrangono contro gli scogli per poi rinascere al largo.
La Calchera

Rezzonico offre naturalmente scorci pittoreschi, in qualche caso anche per merito degli abitanti che ingentiliscono le strade ancora ben acciottolare con la collocazione di vasi pieni di piantine floreali.
Ritengo che Rezzonico si possa considerare “ la perla di San Siro”.
La spiaggetta della FOPPA è un piccolo angolo di paradiso.
La Foppa


Contrada Maggiore


Ma non mi fermo qui perché a Rezzonico, proprio sul finire del borgo andando verso Santa Maria, su un ampio triangolo di terreno fra Via Rezzonico e la Strada Antica Regina, c’è un edificio la cui storia non vorrei fosse mai dimenticata, anzi auspico con tutto il cuore che l’amministrazione comunale valuti un possibile e generoso riutilizzo.
Mi riferisco all’edificio che fu LA SCUOLA, dove io ho conseguito la licenza di quinta elementare unitamente alla valutazione personale del Maestro Pasquale Langella in cui incitava i miei genitori a farmi proseguire gli studi.  



Al Maestro Langella Pasquale il ricordo stralciato da IL MIO PAESE DENTRO UN ROMANZO ( pag. 24)

“…quando si arrivava a frequentare la quarta e la quinta elementare, si era già “grandi” e l’insegnante doveva eserciatre appieno il ruolo.
Infatti del Maestro PASQUALE LANGELLA conservo il ricordo di un uomo austero, ma a scanso di equivoci preciso subito che si tratta di un ricordo gradevole perché a me il Maestro Pasquale Langella piaceva. Anche lui, come la Maestra, probabilmente godeva di ottima salute poiché era sempre presente.
Ai tempi in cui io frequentato le elementari, seppure non così lontani, i programmi scolastici e i metodi di insegnamento erano ben diversi dagli attuali. Per esempio la geografia si sembra di ricordare che si iniziasse a studiare in quarta elementare: prima l’Italia fisica e poi politica, successivamente l’Europa e infine, in quinta elementare il Mondo. Ebbene il Maestro Langella non era originario del Lago di Como, bensì della Campania, e la sua parlata si discostava assai da quella del nostro paese. Si diceva che fosse napoletano e io, arrivata in quarta elementare e non conoscendo ancora bene la geografia, incominciai a fantasticare sul suo luogo natale.
Il Maestro proveniva da un luogo molto lontano e “lontano” allora aveva un significato diverso da oggi in cui nessun luogo è lontano. Napoli era quindi davvero lontana, quasi in fondo all’Italia dove c’era il mare, un luogo così lontano che no si poteva raggiungere con la corriera, ma occorreva prendere il treno. E io non avevo mai viaggiato in treno.
Forse le prime gocce di passione per il viaggio sono state instillate in me attraverso le personale di quel personaggio che arrivava da “lontano”.
Il Maestro Langella vestiva in modo molto diverso dagli abitanti del luogo: portava la camicia, la cravatta, a volte sopra la camicia il gilè di lana, la giacca e aveva pure gli occhiali con le lenti molto spesse. Ai miei occhi impersonava un vero e proprio “ Maestro”.
Aveva la nomea di essere severo perché in classe teneva sempre in mano una bacchetta sottile di legno. Non è che la usasse abitualmente per picchiare gli alunni anche se poteva accadere.
A quei tempi, se un insegnante dava uno schiaffo a uno scolaro ( “scolaro” sostantivo oramai in disuso), non commetteva un reato: i genitori stessi ritenevano che il gesto avesse scopo educativo.
Il Maestro Langella la bacchetta di solito la utilizzava per indicare qualcosa durante le spiegazioni: ad esempio dei numeri scritti sulla lavagna, i punti sulle carte geografiche appese alle pareti o altro.
Certo, ne momenti in cui alcuni alunni si facevano prendere da eccessiva euforia, lui minacciava di utilizzarla o mò di frusta, ma personalmente l’ho visto fare raramente e mai nei miei confronti.
Utilizzava la su autorevolezza ricorrendo al castigo e precisamente, se un alunno non intendeva rispettare gli ordini impartiti, lo mandava in punizione dietro la lavagna, mai fuori dalla porta perché c’era il cortile e il monello avrebbe potuto scappare o nascondersi.
Personalmente ritengo che abbia educato e istruito molti degli attuali abitanti di San Siro e sicuramente, non solo la sola a conservare di lui un buon ricordo anche perché, oltre a esercitare la professione di Maestro, per diversi anni ha ricoperto pure la carica di sindaco.
E un tempo, sia il Maestro che il Sindaco, nei paesi come il mio, erano considerati personaggi autorevoli, degni di tutto rispetto anche perché spesso avevano un grado di istruzione superiore alla media e soprattutto non esitavano a spendersi per aiutare i concittadini ( anche in questioni che esulavano dai loro compiti)….”


Infine: ora che  la toponomastica ha assegnato il nome alle diverse strade di San Siro mi sfiora l’idea che  sarebbe stato  bello se qualche viuzza di Rezzonico fosse stata dedicata al Maestro Langella Pasquale! Ma forse si può ancora fare….
Giugno 2020 – Yvonne ( Riproduzione vietata)